Differenza tra dolore acuto e dolore cronico
31 Ott , 2022 I consigli del fisioterapista

Intanto definiamo cos’è il DOLORE: Secondo la definizione della IASP (International Association for the Study of Pain – 2020) e dell’ Organizzazione mondiale della sanità, il dolore « è un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata a (o simile a quella associata a) un danno tissutale potenziale o in atto ». Nel senso comune dolore è sinonimo di sofferenza.
Il dolore acuto è quello che compare all’improvviso in chi sta bene: è il sintomo di un danno di fronte a cui il nostro corpo tenta di difendersi. Ci segnala la presenza di un pericolo e ci spinge a cercare aiuto. Può presentarsi in modi diversi: un senso di oppressione, una pugnalata che trafigge, un bruciore insopportabile. Comunque sia, il dolore è una sentinella che ci avverte di “qualcosa che non va” e viene “urlato” come richiesta di aiuto, assistenza e comprensione. Ma il dolore è anche un’ esperienza vissuta nell’intimo da ogni individuo per cui lo stimolo doloroso viene percepito e si trasforma in una sensazione dolorosa, si appesantisce del vissuto individuale e si trasforma in sofferenza; il dolore acuto può modificare la sfera affettiva, risente delle emozioni e dei condizionamenti culturali.
Il DOLORE ACUTO è un dolore inaspettato, improvviso; per definizione, la durata è legata alla presenza del danno o della patologia che lo ha determinato: è limitato nel tempo, ma presente quanto basta perché chi lo prova porti con sé il ricordo di ciò che ha sentito. Il dolore è il campanello d’allarme di molte situazioni patologiche e per questo non trova ragione di esistere una volta che queste siano state diagnosticate: il dolore dell’infarto miocardico, il dolore da trauma, il dolore delle coliche renali o biliari, i dolori reumatici, la cefalea, quando riconosciuti dovrebbero essere sempre curati.
Il DOLORE CRONICO è un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata o simile a quella associata a un danno tissutale effettivo o potenziale. Nel 2020 l’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP) ha introdotto questa nuova definizione di dolore.
Malattie protratte, irrisolte (p. es., neoplasie, artrite reumatoide, ernia del disco) e che producono stimoli nocicettivi continui possono spiegare completamente il dolore cronico. In alternativa, una lesione, anche se di lieve entità, può portare a cambiamenti persistenti (sensibilizzazione) nel sistema nervoso, dai recettori periferici alla corteccia cerebrale, che possono produrre dolore persistente in assenza del persistere di stimoli nocicettivi. Con la sensibilizzazione, il malessere dovuto a una patologia in risoluzione e che verrebbe altrimenti considerato come lieve o come appena fastidioso viene invece percepito come un dolore significativo.
In qualche caso (p. es., una lombalgia cronica dopo un trauma), il fattore scatenante del dolore è evidente; in altri (p. es., cefalea cronica, dolore facciale atipico, dolore addominale cronico), l’evento precipitante è non evidente o oscuro.
Inoltre, i fattori psicologici possono amplificare il dolore persistente. Così, generalmente il dolore cronico può apparire di entità sproporzionata rispetto ai processi fisici identificabili. Il dolore cronico induce o aggrava spesso i problemi psicologici (p. es., depressione, ansia). Distinguere la causa psicologica dall’effetto è spesso difficile, ma se coesistono dolore, depressione e ansia, in genere intensificano l’esperienza complessiva del dolore.
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